Farò il possibile

L’onnipotenza è quel contributo che l’uomo trasferisce sul conto di dio pur di non investire la somma in questione su se stesso, nel timore di non avere liquidità sufficiente per saldare anche solo gli interessi di un simile investimento.

Questo non impedisce che l’onnipotenza, anche se riferita alla divinità, venga solitamente concepita dall’uomo in relazione alla modalità verbale della sua applicazione (applicabilità).

Il significato di „onnipotente“ si lascia quindi descrivere dalla sommatoria della congiunzione di „potere“ con tutti gli altri verbi.

Onnipotente = „colui che“:

„può vedere tutto“,

„può sapere tutto“,

„può immaginare tutto“,

et cetera.

Ma, allo stesso tempo, anche „colui che“:

„può procrastinare tutto“,

„può abbandonare tutto“,

„può disfare tutto“,

et cetera.

 

Al di lá delle sue modalizzazioni, il verbo “potere” è anche espressione di una libera volontà, di una generica volontà di x, che prescinde dalla determinazione di x. Al contrario del potere come verbo modale, il potere in senso assoluto lascia intravedere una libertà di azione che non dipende in alcun modo da quello che si sceglierebbe di fare.

Non esiste solo la dialettca del poter-fare e poter-disfare (che comuqne dipende da quello che si può, ovvero dal Possibile).

La categoria dell’onnipotenza include anche, almeno teoricamente, la dialettica del potere e del non-potere, nella più totale indipendenza rispetto a quello che pur si sarebbe potuto; un Impossibile che all’uomo non è nemmeno dato di immaginare (nè tantomeno di dire).

 

Io dico in italiano io posso (ich kann) nel senso che ho le capacità per fare qualcosa.

Ma dico anche io posso (ich darf) nel senso che ho il diritto e la facoltà di fare qualcosa.

 

Ci sono cose che posso (kann) ma non posso (darf).

Es gibt Dinge, die ich kann, aber nicht darf.

 

Ci sono cose che posso (darf) ma non posso (kann).

Es gibt Dinge, die ich darf, aber nicht kann.

 

Dato che il Dürfen primeggia sul Können, l’onnipotente dovrebbe essere colui che può (darf) tutto, piuttosto che colui che tutto può (kann).

 

Io, che non sono onnipotente, sono costretto a muovermi nell’ambito del Dürfen (ciò che si hà la facoltà di fare), e declinare l’idea di onnipotenza nella pratica del possibile.

Io, se fossi onnipotente, non avrei la catena del Dürfen e la mia onnipotenza potrebbe anche manifestarsi nel non fare. Un non-fare, però, che non è inattività, ma solo una traccia del fare l’impossibile, che a me non è nemmeno dato di immaginare.

 

Si arriva ad una formulazione apparentemente opposta a quella iniziale: onnipotente è colui che non non ha nulla da (dover) fare e, pur potendo fare tutto (anche l’impossibile, per me inimmaginabile), potrebbe anche non farlo.

 

Il non avere nulla da dover fare non significa non aver nulla da fare, né tantomeno non dover fare nulla.

Il non aver nulla da fare è un potere imprigionato nei limiti del possibile.

Il non dovere far nulla, imprigiona nei limiti del Dürfen.

 

L’onnipotente non dovrebbe conoscere nè il primo nè il secondo limite.

In questo senso mi sembrerebbe più appropriato appellare Dio il Nullafacente.

 

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A bene vedere, tuttavia, non occorre tirare in ballo dio. Anche questo bicchiere potrebbe essere onnipotente, ma semplicemente non manifestare la propria onnipotenza a me.

Forse anche io sono onnipotente, ma nella vita di tutti i giorni mi limito a fare il possibile.

 

 

 

 

 

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