ProgettoVacanza_Untitled

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Seah Yark Beow

Untitled

Le intenzioni dell’artista:

In questo lavoro utilizzo materie prime per dar luogo ad un processo naturale in grado di generare diverse risposte, spesso inaspettate. Il lavoro comprende una serie di stimolazioni sensoriali che vogliono raggiungere l’instaurarsi di una relazione tra il fruitore e l’oggetto.

Untitled è una scultura commestibile, che ci parla sia della produzione di energie sia del loro naturale dispendio. Della forma e dello scorre della vita; della vita come scorrimento de-formante. Entropia.

Infatti questa scultura senza titolo è andata incontro ad un naturale deperimento e rottura coincidente con la rottura dei legami interni che ne sorreggevano quella che era allo stesso tempo la struttura e l’involucro. Il senza titolo non è, anzi sta diventando senza forma.

Foto della scultura scattata da Ruobing il primo giorno
Foto della scultura scattata da Ruobing il primo giorno

Dei limoni erano collegati l’un l’altro attraverso bacchette cinesi. All’inizio della settimana di esposizione la scultura si sosteneva eretta di un odore luminoso che riempiva tutto l’ambiente che la ospitava. Col passare del tempo, in modo impercettibile ma inesorabile, la marcescenza dei limoni imprimeva alla forma cristallina della scultura una nota sempre più stridente di decadenza e decadimento.

Foto della stessa scultura scattata da Sarah lultimo giorno
Foto della stessa scultura scattata da Sarah l'ultimo giorno

La scultura di Seah richiama sia gli esperimenti per la produzione di energia elettrica (come costruire una pila con un limone, una lamina di zinco ed una di rame?) sia alle ricerche microscopiche sulla struttura delle molecole e alla comparazione strutturale su vari livelli.

Emmanuele Pilia - Fantasie meccaniche
Emmanuele "PEJA" Pilia - Fantasie meccaniche

Beuys - CapriBatterie, 1985
Beuys - CapriBatterie, 1985

Più che riallacciarsi alla tradizione beuysiana, mi sembra che Seah attinga direttamente alla tradizione cinese che sta alle sue spalle.

Sulla forma come orpello destinato alla dissoluzione, in vista di un ciclico ritorno verso il vuoto, non bisogna farsi sviare dalle analogie.

Infatti sarebbe sbagliato fermarsi all’accostamento delle teorie esposte nel libro delle odi con l’idea di Platone.

Leonardo Arena si esprime giustamente:

Come molti filosofi cinesi contemporanei hanno sottolineato, la questione può essere correlata al concetto platonico di idea. Sin dal “Libro delle odi”, si insiste su questo: “poiché esistono le cose, ce ne sono anche i modelli” (tse) (ode n. 260). Ogni cosa si conforma a una propria configurazione o articolazione: i Neoconfuciani che si richiamarono al li (“principio costitutivo”, “legge”, pattern, ecc.) trovarono un terreno fertile su cui edificare le proprie argomentazioni. Da diversi secoli i Cinesi sviscerano il rapporto di questo li, reperibile in qualsiasi oggetto, occasione o evento, con l’energia vitale (ch’i) che permea il cosmo.

Tuttavia, nella forma come concetto filosofico appartenente all’area cinese (mi si èperdoni la generalizzazione) non c’è alcunché della fissità dell’eidos platonico.

Giancarlo Finazzo nota che:

Il principio, essendo il non-determinato in assoluto proprio in quanto generatore di tutte le entità finite o determinate, resta il nonconoscibile e quindi il non-definibile. Esso può essere soltanto intuito come la forza inesauribile che è la fonte stessa di vita e la cui energia si espande naturalmente, manifestandosi attraverso la realtà delle cose.

Il principio è anonimo, non individualizzato. Il suo scorrere è uno scorrere quotidiano che non si lascia cogliere in eventi formali.

In questo senso il senza titolo di Sah è realistico. Si tratta di una imitazione di questo scorrere. Di questa presenza senza parossismi, che si abbandona al di fuori, senza additare alcun finalismo.

Chiudo con ciò che lo stesso Finazzo scrive sul Taoismo:

Confucius presenting the young Gautama Buddha to Laozi
Confucius presenting the young Gautama Buddha to Laozi
Laozi scritto in cinese
Laozi scritto in cinese

La Scuola taoista o del Daode ha il suo fondatore in Laozi (570-490 a.C.). Stando alle poche notizie fornite dallo storico Sima Qian (145-86 a.C.), Laozi fu originario del distretto di Li (Cina meridionale),lavorò a lungo come bibliotecario e archivista alla corte degli Zhou e abbandonò infine il lavoro e la società, partendo a piedi per l’Occidente senza lasciare più traccia di sé. Mentre era in procinto di varcare la frontiera, una guardia volle essere informata sul suo pensiero; avrebbe allora dettato quello che in seguito fu denominato Daodejing o Libro del Daode, un’opera di circa 5.000 caratteri, divisa in 81 capitoli e che compendia la filosofia del dao. Il suo pensiero fu esposto più tardi da Zhuangzi (seconda metà del sec. IV a.C.) – il filosofo più geniale e rappresentativo della Scuola – in un’opera che ne porta il nome e che è distribuita in 33 libri raggruppati in 10 volumi. I testi del Daodejing e del Zhuangzi costituiscono la più alta espressione del pensiero speculativo cinese. La ricchezza e la densità concettuale della terminologia, il linguaggio ellittico e vigoroso di Laozi e quello fecondo e immaginoso di Zhuangzi, sono rimasti ineguagliati.

Dao è il nome convenzionale dato alla realtà unica e perfetta, occulta e immutabile, immateriale e silente, che era prima che il cielo e la terra venissero in esistenza (Laozi 25, i-iv). Una realtà che ha in sé l’origine e la norma, e le cui categorie sono il moto e la verità (Zhuangzi VI, 7). Dao è l’assoluto, yuan (Laozi 1, iv) che non sarà mai oggetto di conoscenza. Esso potrà essere soltanto compreso attraverso la chiara intelligenza (hui) o percezione intuitiva resa possibile dall’unica “manifestazione” del dao – ossia dalla sua condizione di moto o non-stasi. Il moto, che equivale all’attività del dao e che ne rivela il modo di essere, è caratterizzato da riversibilità e da dolcezza. Dao, infatti, è nei due momenti alterni di espansione e di rientro: il primo coincide con la sua manifestazione attraverso le cose, il secondo con il suo totale occultamento quando rientra in se stesso o nel “nulla” (Laozi 14, ii; 40, i, ii). Questo moto che determina il ritmo della vita dell’universo, è costante, lineare e agevole, simile ad un regolare respiro. L’azione del daode). Ma il dao non si erge per questo a signore delle cose e non manifesta il suo nome, restando nell’anonimato e nel silenzio (Laozi 34, i, ii). Per esemplificarne il modo operativo lo si paragona all’acqua incolore e insapore, umile e benefica, che penetra dolcemente in ogni dove, che sembra debole all’aspetto ma che è in grado di annientare tutto ciò che appare solido e forte. Non stupisce pertanto che la realtà del dao, così semplice, costante e sommessa, sembri stupida e ridicola alla piccola gente e ai dotti di bassa categoria (Laozi 41, i). si configura inizialmente come un “traboccamento” che coincide con l’espansione delle sue energie o “virtù” ( Di fatto, nulla è fuori del dao e nulla è privo di dao. La sua onnipresenza non è costrittiva ed è prontamente accettata da tutte le cose poiché essa equivale alla presenza della vita. Dal punto di vista formale, dao è l’infinito o il non determinato. Il suo non determinarsi è ciò che lo distingue dagli enti da esso prodotti e che ci spiega anche perché la sua attività non si risolva con la produzione del suo nome. Ma dalla non-determinazione derivano altresì la sua onnipresenza e la sua imparzialità. L’attività del dao è infatti caratterizzata da non-azione – wuwei – ossia dalla assenza di volizione, di intenzionalità e di sforzo, poiché le sue operazioni non sono che il modo in cui esso sussiste. I concetti della non-determinazione e della onnipresenza sono l’argomento di una parabola nello Zhuangzi XXII, 6, dove la dimora del dao è situata nel palazzo di “Nessun-luogo” nel paese di “Non-azione”: anche l’uomo capace di arrivare alla dimora del dao non ne trarrebbe un arricchimento di sapere poiché non vi troverebbe i riferimenti necessari all’acquisizione della conoscenza. Lo stato precedente alla venuta in essere dell’universo è ritenuto simile ad una “torbida confusione”. Esso subì un’improvvisa e misteriosa alterazione, che il pensiero taoista non ha tentato di interpretare, rivolgendo invece il suo interesse al fatto che la venuta in essere delle cose ha causato, con la determinazione degli enti in quanto realtà circoscritte e distinte, la loro separazione dallo stato originario di confusione. Da questa concezione trae origine l’acuto desiderio del pensatore taoista, di rientrare nello stato originario di totale comunione attraverso l’annullamento di sé e di ogni altra limitazione di essere. La comunione totale col dao equivale dunque al rientro nel “nulla” o “vuoto”, xu (radicale 141/6) – ossia in quello stato che, avendo preceduto la manifestazione dell’essere, non è carenza di essere. Il “vuoto”, infatti, è l’essere assoluto nel suo momento misterioso e dinamico, esuberante di energia e liberale, che riconosciamo come il “grande inizio” (Taichu; Zhuangzi XII, 8).

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