Le cose che cadono – Part 2: “In fondo in fondo”

Hai presente quando ti cade qualcosa dalle mani? Ecco, mentre stava cadendo non l’avevi presente.

La cosa appare essere accaduta come animata da volontà propria. Questo ci libera dalla responsabilità di aver fatto cadere, o di non aver impedito che accadesse.

Il lasciar cadere è una (comoda) non-azione che torna utile nello smorzare la colpa del nostro negligente, complice lassismo. Questo lassismo (termine che non a caso ha molti risvolti etici) è parzialmente giustificato come meccanismo di difesa contro l’impossibilità di essere costantemente desti, ma degenera quando viene automatizzato ed assunto a regola di vita.

Quando questo lassismo si fa strada nell’algoritmo delle nostre azioni quotidiane la nostra percezione degli accadimenti si riduce a due fotogrammi: nel primo si ha la cosa in mano; nel secondo i frantumi della cosa giacciono al suolo. Solo dopo aver percepito il fracasso dell’accaduto si confrontano gli unici due fotogrammi conservati in memoria e ci si risveglia dal torpore. A questo punto ci si accorge che si sarebbe potuto intervenire. 

Perché lasciamo che le cose ci ac-cadano pur sapendo che con un semplice gesto avremmo potuto determinare un altro corso agli eventi? Perché non facciamo in modo, per quanto possibile, che le cose, una volta scivolateci, non continuino a cadere come se il loro destino fosse ormai segnato in maniera inalterabile?

Una volta allungato il braccio ed afferrata la cosa, nulla ci impedisce, eventualmente, anche di decidere di schiantarla in terra!

Questo invito a non lasciar cadere non deve essere inteso come una sorta di accanimento esistenzaialistico, ma come una espressione di libertá. LIbertá condizionata, a ben vedere. Ma pur sempre libertá. E soprattutto a ben vedre. Cioè non illusoria. Non parlo della libertá sconfinata del romanticismo, ma di una ben piú angusta, ma quantomeno possibile: a portata di mano.

Abbiamo un punto di partenza certo: la stanza di cui parlavo nella prima parte di questo scritto.

La stanza è fatta di cose essenzialmente facili da descrivere e da esprimere. Per quanto le circostanze iniziali non dipendano da noi, una volta entrati nella nostra nuova stanza le cose e la loro disposizione è nelle nostre mani. A nostra disposizione. Anche se non sappiamo (non sapremo mai) se queste cose e la loro sistemazione siano davvero (più) degne di altre cose o di altre possibili sistemazioni, queste cose e questa sistemazione (insomma, questa circostanza) sono degne di essere salvaguardate (e, attenzione, non dico “conservate”).

Salvaguardare, osservare con attenzione, valutare e soppesare con lo sguardo. Con questa intima celebrazione si fa un primo passo verso una libera determinazione dell’arredamento della propria vita. Qualcosa che ci è dato, la vita, indipendentemente da noi, e rispetto alla quale ci è essenzalmente negata ogni tipo di libertà. Ciononostante, in questo campo del necessario, entro i limiti delle nostre attuali possibilità, attraverso la salvaguardia delle cose che abbiamo per le mani e sotto il nostro sguardo, possiamo instaurare un nuovo ordine e magari anche estendere le nostre possibilità di autodeterminazione: insomma, dare uno stile personale alla nostra nuova stanza.

Il polo opposto dell’individuale arredamento della propria camera è la casa, quella che Battiato dice “abitarci e renderci impotenti”. La casa non è la stanza della stanza, ma un’antità a cui si dà un valore ontologico diverso. Invece è solo la stanza della stanza, come noi siamo stanze di noi stessi.

Quello che oggi, se ci svincoliamo dall’inerte osservazione delle cose che cadono, salvaguardiamo diventa oggetto di design nell’ambito di una particolare accezione del termine “arredamento di interni”.

Lo so, questo non toglie il fatto che la cosa in sé non cessi di essere priva di valore. Per questo è inutile domandarsi se valga o meno la pena di salvaguardare le cose nella nostra stanza: esse non dipendono da noi e, come altre potenziali cose, non hanno valore in sé. Non la cosa in sé deve spingerci ad effettuare il movimento di salvaguardia, di recupero e di riordino. Solo il nostro gesto, il nostro salvaguardare, recuperare, riordinare, insomma, la nostra presa di iniziativa dà valore alla cosa non-ac-caduta e ricollocato nella stanza a nostro piacimento.

Oggi cade la neve. Che possiamo farci se non immedesimarci-si?

In fondo in fondo ognuno ha il proprio personalissimo modo di essere uguale a tutti gli altri.

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